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Nel 1948 e nel 1976, le Nazioni Unite proclamarono le grandi liste dei diritti umani: tuttavia la stragrande maggioranza dell’umanità non ha altro che il diritto di vedere, udire e tacere. Che direste se cominciassimo a praticare il mai proclamato diritto di sognare? Che direste se delirassimo per un istante? Puntiamo lo sguardo oltre l’infamia, per indovinare un altro mondo possibile: l’aria sarà pulita da tutto il veleno che non venga dalla paure umane e dalle umane passioni; nelle strade, le automobili saranno schiacciate dai cani; la gente non sarà guidata dalla automobile, non sarà programmata dai computer, né sarà comprata dal supermercato, nè osservata dalla televisione; la televisione cesserà di essere il membro più importante della famiglia e sarà trattato come una lavatrice o un ferro da stiro; la gente lavorerà per vivere, invece di vivere per lavorare; ai codici penali si aggiungerà il delitto di stupidità che commettono coloro che vivono per avere e guadagnare, invece di vivere unicamente per vivere, come il passero che canta senza saper di cantare e come il bimbo che gioca senza saper di giocare; in nessun paese verranno arrestati i ragazzi che rifiutano di compiere il servizio militare ma quelli che vorranno farlo; gli economisti non paragoneranno il livello di vita a quello di consumo, nè paragoneranno la qualità della vita alla quantità delle cose; i cuochi non crederanno che alle aragoste piaccia essere cucinate vive; gli storici non crederanno che ai paesi piaccia essere invasi; i politici non crederanno che ai poveri piaccia mangiare promesse; la solennità non sarà più una virtù, e nessuno prenderà sul serio chiunque non sia capace di prendersi in giro; la morte e il denaro perderanno i loro magici poteri, e né per fortuna né per sfortuna, la canaglia si trasformerà in virtuoso cavaliere; nessuno sarà considerato eroe o tonto perché fa quel che crede giusto invece di fare ciò che più gli conviene; il mondo non sarà più in guerra contro i poveri, ma contro la povertà, e l’industria militare sarà costretta a dichiarare fallimento; il cibo non sarà una mercanzia, né sarà la comunicazione un’ affare, perché cibo e comunicazione sono diritti umani; nessuno morirà di fame, perché nessuno morirà d’indigestione; i bambini di strada non saranno trattati come spazzatura, perché non ci saranno bambini di strada; i bambini ricchi non saranno trattati come fossero denaro, perché non ci saranno bambini ricchi; l’educazione non sarà il privilegio di chi può pagarla; la polizia non sarà la maledizione di chi non può comprarla; la giustizia e la libertà, gemelli siamesi condannati alla separazione, torneranno a congiungersi, ben aderenti, schiena contro schiena; una donna nera sarà presidente del Brasile e un’altra donna nera sarà presidente degli Stati Uniti d’America; una donna india governerà il Guatemala e un’altra il Perù; in Argentina, le pazze di Plaza de Mayo saranno un esempio di salute mentale, poichè rifiutarono di dimenticare nei tempi dell’amnesia obbligatoria; la Santa Chiesa correggerà gli errori delle tavole di Mosè, e il sesto comandamento ordinerà di festeggiare il corpo; la Chiesa stessa detterà un altro comandamento dimenticato da Dio: “Amerai la natura in ogni sua forma”; saranno riforestati i deserti del mondo e i deserti dell’anima; i disperati diverranno speranzosi e i perduti saranno incontrati, poiché costoro sono quelli che si disperarono per il tanto sperare e si persero per il tanto cercare; saremo compatrioti e contemporanei di tutti coloro che possiedono desiderio di giustizia e desiderio di bellezza, non importa dove siano nati o quando abbiano vissuto, giacché le frontiere del mondo e del tempo non conteranno più nulla; la perfezione continuerà ad essere il noioso privilegio degli dei; però, in questo mondo semplice e fottuto ogni notte sarà vissuta come se fosse l’ultima e ogni giorno come se fosse il primo.  Eduardo Galeano "Diritto al delirio"

 

Utopia

Lei è all’orizzonte.
Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi.
Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là.
Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai.
A cosa serve l’utopia?
Serve proprio a questo: a camminare.

Eduardo Galeano

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ll termine utopia indica una società i cui abitanti condividono una situazione ideale in tutti i campi della vita sociale.

L’origine del concetto di utopia è da porre in contrapposizione a quello di “mito”, che allude invece a una condizione di felicità che si perde nella notte dei tempi: si tratti del paradiso terrestre o dell’età dell’oro (Joseph J. Kockelmans). Rispetto al mito, l’utopia, inverte la freccia del tempo: solleva il passato remoto della sua rilevanza, che trasmette tutta al futuro.

I miti sono narrazioni che scaturiscono da una particolare forma di pensiero, il pensiero mitopoietico, che ha la funzione di creare il ricordo di un passato leggendario, per legittimare teorie e dogmi che stabiliscono le condizioni razionali per gestire soluzioni morali, o pratiche, o linee politiche, altrimenti insostenibili.

Mito e utopia si servono entrambi dell’immaginazione ma, mentre il mito fonda la propria legittimazione sulla fede nella propria autenticità, l’utopia è fin dall'origine una “finzione” e come tale trova il suo campo più fecondo proprio nella letteratura.

Il genere utopico trova la propria ispirazione è in uno stato d’insoddisfazione per il presente, che induce a sognare un futuro ideale.

La formulazione del termine utopia si deve all’estro fortunato di un umanista e filosofo inglese, Thomas More (1478-1535), che lo coniò per denominare il luogo immaginario in cui è ambientato il breve trattato De optimo republicae statu deque nova insula Utopia (1516).

Il significato del termine, che deriva dal greco ou=non topos=luogo, non-luogo, indica uno stato ideale che non esiste ma che sarebbe opportuno prendere a modello, in rapporto a una situazione irrazionale e caotica.

Fonte: www.italialibri.net

 

LA REPUBBLICA
di Platone

La Repubblica (in greco antico: Πολιτεία, Politéia) è un'opera filosofica in forma di dialogo, scritta approssimativamente tra il 390 e il 360 a.C. dal filosofo greco Platone, la quale ha avuto enorme influenza nella storia del pensiero occidentale.

Il titolo originale dell'opera è la parola greca πολιτεία. La Repubblica, che è la traduzione tradizionale del titolo, è un po' fuorviante, derivata dal latino, e in particolare da Cicerone. La parola politeia, resa di solito con "costituzione" ha uno spettro semantico complesso: Politeia indica sia la cittadinanza come condizione, sia, per translato, la cittadinanza come complesso di cittadini. I due sensi si conciliano perché la comunità dei cittadini è tale in quanto si struttura secondo condizioni costituzionali e personali di cittadinanza. Quando si parla di politeia nel senso di "costituzione" non si allude semplicemente al complesso di leggi, formale e materiale, che regola la vita pubblica, ma anche e nello stesso tempo alle persone che vivono e partecipano alla città. La costituzione esiste perchè ci sono i cittadini, e non viceversa. Una traduzione più precisa potrebbe essere "La Costituzione". Oppure "La Cittadinanza".

È composta da 10 libri: il primo tratta il tema della giustizia e funge da introduzione per i due libri successivi, in cui Platone espone la sua teoria di "Stato ideale". Quarto e quinto libro si occupano del rapporto tra cose e idee, tra mondo sensibile e sovrasensibile (Iperuranio). Sesto e settimo libro descrivono la teoria della conoscenza, ottavo e nono dello Stato e della famiglia ed infine il decimo dell'immortalità dell'anima con il Mito di Er.

L'opera ruota intorno al tema della giustizia, sebbene il testo contenga anche una moltitudine di altre teorie platoniche, come il mito allegorico della caverna, la dottrina delle idee, la concezione della filosofia come dialettica, una versione della teoria dell'anima differente rispetto a quella già trattata nel Fedone e il progetto di una città ideale, governata in base a principi filosofici.

Quest'ultima è l'esempio più celebre di quelle teorie politiche che col passare dei secoli prenderanno il nome di utopie. Scritta in forma dialogica, La Repubblica riguarda ciò che viene detto φιλοσοφία περὶ τὰ ἀνθρώπινα ("filosofia delle cose umane"), e coinvolge argomenti e discipline come l'ontologia, la gnoseologia, la filosofia politica, il collettivismo, il sessismo, l'economia, l'etica medica e l'etica in generale.

Lo sviluppo della polis

Socrate inizia a delineare la nascita di una polis: inizialmente si tratterà di un piccolo villaggio abitato da contadini e artigiani, riunitisi per sostenersi l'un l'altro, i quali vivono dei frutti del lavoro, vestono semplicemente e consumano pasti frugali; in seguito però la piccola polis si allarga, introducendovi ricchezze, lussi e nuove figure di lavoratori, come mercanti e artigiani di beni di lusso, cuochi, allevatori e soldati. Socrate mostra come, nell'evoluzione che porta dalla prima polis alla seconda, ci sia una progressiva degenerazione fisica e morale. A questo punto, si affaccia l'idea di uno Stato ideale e perfetto.

Nello Stato ideale proposto da Socrate si impone al cittadino di fare il solo mestiere che gli è stato attribuito direttamente dallo Stato. La divisione del lavoro è infatti alla base della creazione di una comunità di cittadini, i quali non sono in grado di sopperire da sé ad ogni esigenza, ma sono costretti a collaborare e dividersi i compiti: per questo motivo, ognuno dovrà specializzarsi in una techne ed eseguire solo quella. Inoltre, Socrate tiene a precisare che oltre agli artigiani specializzati dovranno esservi anche soldati addestrati esclusivamente all'arte della guerra, la quale è una techne al pari delle altre. Egli divide quindi i cittadini in tre classi-funzione: gli artigiani, classe più bassa con l'obiettivo di lavorare e procurare i beni materiali, i guardiani (φύλακες, phýlakes), che invece dovranno proteggere lo Stato, ed infine i governanti o filosofi (ἄρχοντες, árchontes), gli unici in grado di poter governare lo Stato con morigerata saggezza.

Queste classi-funzione sono dinamiche, e non attribuite alla nascita: durante l'educazione selettiva viene determinato che cosa l'individuo sia più adatto a fare poiché, come Socrate spiega nel mito delle stirpi, ognuno possiede un'indole che indirizza l'individuo ad uno solo dei tre percorsi.

L'educazione dei cittadini

Il modello educativo di Platone (paideia) si basa sulla selezione per tappe: il giovane è sottoposto ad una prima educazione da parte dello Stato comprendente la ginnastica e l'educazione al combattimento (ossia l'esercizio del corpo), e la musica, che rappresenta l'amore per il bello (ossia l'esercizio dello spirito); se l'educando si dimostra all'altezza, egli viene privilegiato ed educato alla matematica, col fine di diventare stratega, e all'astronomia, disciplina solo teorica il cui fine è elevare l'animo. Infine, tra i migliori vengono scelti coloro che, per diventare buoni governanti, intraprenderanno lo studio della filosofia e della dialettica, la massima scienza.

La Giustizia

Oggetto fondamentale degli interrogativi proposti dalla Repubblica è, dunque, la natura della giustizia; il motore del dialogo è la domanda: «Che cos'è la giustizia? (Τί ἐστι ἡ δικαιοσύνη;)». Il punto di partenza e quello d'arrivo sono dati dalle domande: «Come conciliare il sapere con l'esercizio della giustizia?», «Come tradurre in ordinamento che coinvolge tutti i membri della comunità?», «Quanto un uomo può razionalmente conoscere?», e infine: «È possibile trovare con la ragione un ordinamento che sia razionale, ma di una razionalità che contempli l'effettiva giustizia?».

Partendo da questi temi, Platone, tramite le parole di Socrate, costruisce uno Stato ideale dove vige una giustizia teoricamente perfetta, definita Kallipolis. La città deve essere pensata in rapporto alla tripartizione dell'anima del singolo uomo, e quindi essere ripartita in tre classi sociali: aurea (governanti-filosofi), argentea (guerrieri), bronzea (lavoratori).

Classe dei lavoratori (popolo)
caratteristica: la temperanza (σωφροσύνη)
parte dell'anima: "concupiscibile" (ἐπιθυμητική)

Classe dei guardiani (φύλακες o guerrieri)
caratteristica: il coraggio (ἀνδρεία)
parte dell'anima: "irascibile" o "passionale" (θυμοειδής)

Classe governativa (re-filosofi)
caratteristica: saggezza (σοφία)
parte dell'anima: "razionale" (λογιστική)

La classe dei governanti-filosofi deve stare al potere, in quanto classe di innata sensibilità, di inesauribile curiosità intellettuale; i filosofi vogliono capire e non solo constatare, ma anche far funzionare la convivenza. Essi sono pertanto gli unici che dispongono dei mezzi intellettuali appropriati per non far sprofondare la città nel caos e nel conflitto interno ed estero.

Questa divisione non è però operata dagli stessi uomini, bensì dalla natura, una forza superiore all'uomo, che rende lo stesso cittadino tale fin dalla nascita: non esiste un individuo apolide. Lo Stato ha un'origine naturale: si tratta di una teoria che si differenzia da quelle moderne, propense a pensare lo Stato come oggetto di un contratto preciso.

Contro la tirannia

Dopo aver svolto un confronto tra le varie tipologie di governo e accertato che quella teorizzata fino ad ora sia la migliore, Socrate definisce le virtù che lo stato deve possedere: la sapienza, propria dei governanti, che rende capaci di reggere lo stato; il coraggio, proprio dei guardiani, utile per salvaguardare i propri membri dalle cose temibili e dalla natura; la temperanza, cioè il contenimento dei piaceri e degli appetiti; infine, la giustizia, definita come ordine e armonia tra le varie parti dello stato.

Nel libro IV viene chiesto a Socrate come il guardiano possa nel tempo libero dal suo compito trovare la felicità essendo costretto ad adempiere sempre ai suoi doveri. Socrate risponde che la felicità per il guardiano consiste proprio nell'assolvere al suo dovere poiché egli è stato generato proprio per questo particolare ruolo: garantire la perpetuazione della giustizia.

Trovata la giustizia nello stato giusto, viene ricercata nell'uomo giusto: l'anima è divisa in razionale, irascibile e concupiscibile e la giustizia esiste solo quando le tre parti sono in armonia tra di loro. Socrate arriva allora alla conclusione che il tiranno è l'uomo più infelice, al contrario di ciò che pensavano inizialmente i suoi amici; infatti, egli è ingiusto e vive nel terrore, ma soprattutto è solo, non ha amici ed è circondato da persone corrotte e malvagie.

Il mito della caverna

I Libri VI e VII della Repubblica affrontano temi di filosofia teoretica e gnoseologia. Più nello specifico, Platone si sofferma qui sulla attività della conoscenza, che dalle cose empiriche e sensibili porta alle idee e in particolare all'idea del Bene (la quale, come si vedrà a breve, occupa un status particolare rispetto alle altre).

Al livello più basso della conoscenza vi è l'opinione (doxa), la quale si rivolge agli oggetti sensibili, i quali, come verrà spiegato ancora meglio in seguito con il mito della caverna, non sono reali ma mere apparenze, ombre. La vera conoscenza è quella che si rivolge alla realtà in sé, non alle apparenze, ma agli oggetti reali di cui gli oggetti sensibili sono solo imitazioni. Solo la conoscenza intelligibile, cioè concettuale, assicura quindi un sapere vero e universale; l'opinione invece, fondata sui due stadi inferiori del conoscere, è portata a confondere la verità con la sua immagine.

Data la complessità del tema, per chiarire ulteriormente il pensiero platonico riguardo alla conoscenza, all'inizio del Libro VII viene fatto ricorso ad un mito: all'interno di una caverna stanno, incatenati sin dalla nascita, alcuni uomini, incapaci di vederne l'entrata; alle loro spalle arde un fuoco e, tra il fuoco e l'entrata della caverna, passa una strada con un muretto che funge da schermo; per la strada passano diversi uomini, portando sulle spalle vari oggetti i quali proiettano le loro ombre sul fondo della caverna. Per i prigionieri le ombre che vedono sono la realtà. Ma se uno di essi fosse liberato e costretto a voltarsi e ad uscire dalla caverna, inizialmente sarebbe abbagliato dalla luce e proverebbe dolore; tuttavia, a poco a poco ci si abituerebbe, potrebbe vedere i riflessi delle acque, poi gli oggetti reali, gli astri ed infine il sole. Tornando nella caverna dovrebbe riabituare gli occhi all'oscurità e sarebbe deriso dai compagni qualora provasse a raccontare ciò che ha visto.

Con questo mito Platone spiega la sua dottrina delle idee, secondo cui la realtà sensibile è paragonabile alle ombre che i prigionieri vedono sul fondo della caverna, mentre esiste in qualche luogo fuori dal tempo e dallo spazio il "reale", che altro non è che "l'idea" (εἶδος).

In questo mito, viene inoltre descritto il processo conoscitivo come un'ascesa abbastanza difficile e comunque graduale, secondo i gradi descritti nella metafora della linea: prima l'opinione, identificata nelle ombre sfocate, poi gli oggetti che fanno parte del mondo sensibile, poi i riflessi, identificabili con la matematica, fino ad arrivare alla conoscenza dell'idea del Bene che illumina tutte le altre (nel mito, è il sole).

Il Bene

Si viene così ad affrontare uno dei passi più importanti e dibattuti della Repubblica, le pagine dei Libri VI e VII in cui Platone afferma il primato del Bene rispetto alle altre idee, paragonandolo al sole:

«Come nella sfera visibile la luce del sole e la vista correttamente si possono ritenere simili al sole, ma non è corretto ritenere che esse siano il sole, così in quest’altra sfera è corretto ritenere che scienza e verità siano entrambe simili al buono, ma scorretto sarebbe pensare che l’una o l’altra di esse siano il buono: degna di onori ancor più alti è la condizione di buono.»

Come il sole, quindi, illumina gli oggetti e li rende visibili alla vista, così dal Bene si irradiano verità (ἀλήθεια) e scienza (ἐπιστήμη). Il Bene occupa un piano di dignità superiore rispetto alle idee, le quali traggono da esso un fondamento in termini assiologici, gnoseologici e ontologici.

Il Bene, origine della epistéme, è esso stesso conoscibile dopo una lunga ricerca, ma – curiosamente – di esso Socrate non dà alcuna definizione. Il Bene è quindi indefinibile (se non appunto attraverso un'immagine, quella del sole), e la scienza del Bene non è una scienza tra le altre, ma è la scienza prima necessaria non solo a chi deve governare uno Stato, ma a chiunque si debba occupare di una scienza specifica, poiché è la scienza della verità, che accomuna e fonda tutte le altre scienze.

La Famiglia e lo Stato

L'uomo ha molti bisogni e da solo non è sicuramente in grado di soddisfarli; Platone non pensa dunque all'eremita, autosufficiente e solitario, ma ad una comunità che rende possibile la vita del singolo individuo. In questo dialogo, Platone spiega, inoltre, come la società funzionerebbe meglio se ogni individuo facesse ciò che meglio sa fare. Così, chi è adatto a fare il falegname farà il falegname, chi ha talento nell'architettura farà l'architetto. Perché ciò avvenga, Platone dice che è necessario estinguere la ricchezza e la povertà, poiché chi è ricco non lavora, chi è povero fa ciò che più gli rende; è inoltre necessario abolire la vita familiare, dato che solitamente accade che il figlio del calzolaio finisca per fare il calzolaio, quindi non deve esistere la "tradizione di famiglia".

Oltre all'educazione dei giovani, Platone spiega che i governanti devono vivere in perfetta comunione dei beni: non devono avere proprietà privata, né figli. Questi ultimi, una volta strappati alle proprie famiglie, verranno educati dallo stato fin dalla nascita. Quanto alle mogli, tutte le donne saranno in comune e premieranno i più forti così da avere stirpi sempre migliori; in questo modo i governanti saranno interessati solamente al bene dello stato.

Particolarmente interessante è la posizione della donna nello stato ideale: questa viene considerata al pari dell'uomo; anche se fisicamente più debole, anch'essa può prendere parte ai combattimenti e ricoprire le cariche più elevate.

Il Mito di Er

Alla fine dell'opera si trova il mito di Er. Attraverso di esso, Platone intende argomentare intorno al concetto di anima e a quello di metempsicosi, oltre che mostrare come nella vita dell'uomo coesistano il caso, la libertà e la necessità.

Nel mito Er, un soldato morto in battaglia che ha l'avventura di resuscitare, racconta che nell' aldilà le anime vengono a caso sorteggiate per scegliere tra quali vite reincarnarsi. Chi è stato sorteggiato tra i primi è sì avvantaggiato, perché ha una scelta maggiore ma anche chi sceglie per ultimo ha molte possibilità di libera scelta perché il numero dei paradigmi di vita possibili offerto è più grande di quello delle anime e poi non è detto che la possibilità di scelta sia determinante poiché ciò che importa è che si scelga bene.

Quindi il caso non assicura una scelta felice mentre determinanti potranno essere i trascorsi dell'ultima reincarnazione. Scegliere, nella visione platonica, significa infatti essere coscienti criticamente del proprio passato per non commettere più errori e avere una vita migliore.

Le Moire renderanno poi la scelta della nuova vita immodificabile, nessuna anima, una volta operata la scelta potrà cambiarla e la sua vita terrena sarà segnata dalla necessità.

Le anime si disseteranno con le acque del fiume Lete ma quelle che lo hanno fatto in maniera smodata dimenticheranno la vita precedente, mentre i filosofi, che guidati dalla ragione non hanno bevuto, manterranno il ricordo, solo un po' attenuato, del mondo delle idee, alle quali, durante la nuova vita, potranno riferirsi per ampliare la loro conoscenza e vivere serenamente.

Fonte: wikipedia
 

 

DE CIVITATE DEI
di Sant'Agostino

 

La Città di Dio (in latino: De civitate Dei, o anche De civitate Dei contra Paganos) è un'opera latina in ventidue libri scritta da Sant'Agostino d'Ippona tra il 413 e il 426. Nei primi dieci libri egli difende il cristianesimo dalle accuse dei pagani e analizza le questioni sociali-politiche dell'epoca; negli altri dodici libri, invece, tratta della salvezza dell'uomo.

Il termine latino civitas non dovrebbe essere tradotto come città, ma si dovrebbe parlare piuttosto di cittadinanza, di una condizione spirituale in cui si gioca il destino di salvezza e di dannazione di ciascun individuo.

L'opera, che è una delle più famose di Agostino, rappresenta un'apologia del Cristianesimo nei confronti della civiltà pagana; in essa vengono trattati argomenti come Dio, il martirio, i Giudei e altri ancora concernenti la filosofia cristiana.

«Questa sintesi in ventidue libri della riflessione filosofica, teologica e politica del vescovo di Ippona costituisce al tempo stesso la più alta apologia del cristianesimo che ci abbia dato l'antichità cristiana, il primo grande saggio di teologia della storia e uno dei testi più significativi della letteratura cristiana e universale»

Genesi dell'opera

L'opera nasce in un contesto storico-politico delicato: il lento decadere dell'Impero romano d'Occidente dovuto alle continue invasioni barbariche. In particolare, il Sacco di Roma compiuto dai Visigoti di Alarico I nel 410 aveva causato grande impressione: mentre alcuni avevano interpretato la caduta della città eterna come un presagio della fine del mondo altri, i seguaci della religione romana tradizionale avevano sostenuto che fosse venuta meno la protezione accordata dalle antiche divinità, e ritenendo responsabili i cristiani e la loro opera di proselitismo.

La grande occasione data dall'evento sollecita Agostino a riflettere; così nel 413 comincia l'opera che lo impegnerà fino al 426 e diverrà uno dei pilastri della cultura occidentale e della storia della filosofia in particolare. Il cristianesimo fu accusato dai pagani di aver prodotto un indebolimento delle solide basi morali dell'impero, che avrebbe esposto quest'ultimo alle penetrazioni dei barbari. In realtà vanno presi in considerazione due fattori complementari: da una parte, il cristianesimo aveva creato un insieme di valori antitetici a quelli pagani, dall'altra, e per la maggiore, il motivo della caduta dell'impero è da ricercare nella fragilità politica di base.

L'opera appare come il primo tentativo di costruire una visione organica della storia dal punto di vista cristiano. Per controbattere alle accuse della società pagana contro i cristiani, Agostino afferma che la vita umana è dominata dall'alternativa fondamentale tra il vivere secondo la carne e il vivere secondo lo spirito. A queste due possibilità corrispondo opposti stili di vita: la Civitas Terrena, ossia la città della carne e del diavolo, fondata da Caino e la Civitas Dei, ossia la città dello spirito, la città celeste fondata da Abele. Importante notare anche la simbologia scritturistica: Caino è un contadino e in quanto tale strettamente legato alla terra, allo sfruttamento delle sue risorse e al guadagno; Abele invece è un pastore, gode della terra ma non vi è legato e tende, per un certo verso, a una meta più ambita e fruttifera: il cielo.

La Città Terrena e La Città Celeste

Nella Città di Dio, Agostino sostiene che l’alternativa tra il vivere “secondo la carne” e il vivere “secondo lo spirito”, presente in ogni individuo, si ritrovi nella storia. Essa è dominata da un’eterna lotta tra la Città Terrena e la Città Celeste. La Città Terrena, nata dopo la caduta di Adamo e fondata da Caino, ospita gli uomini “dominati da una stolta cupidigia di predominio che li induce a soggiogare gli altri”, e quelli che aspirano alla gloria; la Città Celeste, invece, ha origine con gli angeli e con la comunità di quegli uomini giusti che hanno scoperto Dio e che “si offrono l’uno all’altro in servizio con spirito di carità”.

L’impero Romano, nato dal fratricidio di Romolo (che richiama quello di Caino), è la più alta espressione della Città Terrena.

Lo Stato, tuttavia, non viene considerato un male poiché mira a garantire il bene temporale dei suoi membri; ciò nonostante, i beni materiali non devono diventare il fine ultimo da perseguire. Le due città al momento sono unite e insieme confuse, ma con il Giudizio Universale saranno finalmente divise.

Ci sono due modi di vivere, due mondi umani, due popoli, due città che risalgono alle origini della storia del genere umano e sono il costante punto di riferimento della storia universale.

La Civitas dei è composta da coloro la cui vita è ispirata all’amor dei. La Civitas terrena è formata da coloro che ispirano le loro azioni all’amor sui. Il vincolo che unisce gli uomini delle due città è dunque l’amore: amor sui e amor Dei. L’amore è il principio dinamico della volontà, ciò che spinge a volere. L’amore è un’energia che tende a conseguire una serie di beni secondo un determinato ordine. L’amore di se stesso esprime un proprio ordine che si realizza nella città terrena. Amare se stessi significa conseguire tutti i beni terreni che possono darci piena soddisfazione, in modo che il nostro animo non sia più turbato e rattristato. La soddisfazione è lo stato di pace con se stesso.

«L'amore di sé portato fino al disprezzo di Dio genera la città terrena; l'amore di Dio portato fino al disprezzo di sé genera la città celeste. Quella aspira alla gloria degli uomini, questa mette al di sopra di tutto la gloria di Dio. [...] I cittadini della città terrena son dominati da una stolta cupidigia di predominio che li induce a soggiogare gli altri; i cittadini della città celeste si offrono l'uno all'altro in servizio con spirito di carità e rispettano docilmente i doveri della disciplina sociale.»

È il desiderio di pace che spinge l’uomo ad uscire da se stesso e stabilire rapporti sociali con gli altri. Il desiderio della pace è una caratteristica della natura dell’uomo. La pace è la ragion d’essere della società umana. Il fine della politica è di conseguire e mantenere la pace: la repubblica, l’autorità, il potere, le istituzioni, le leggi debbono essere predisposte in vista della pace. Per avere la pace gli uomini devono avere desideri e comportamenti che siano in essa corrispondenti. La pace si riflette nella società degli uomini, nella famiglia e nello stato.

Ci sono due tipi di pace: della città celeste e della città terrena. La prima è eterna perché ha il suo fondamento in Dio, la seconda è insidiata dalle passioni sempre mutevoli degli uomini, è incerta, provvisoria e può essere infranta dagli odi e dalla lotte. La pace è l’unione dell’ordine. L’ordine è la disposizione che assegna ogni cosa al suo posto. Questa disposizione ritrova la sua fonte e legittimità in Dio, nella sua legge, la legge eterna che corrisponde alla ragione e alla volontà di Dio e comanda di conservare l’ordine naturale. Questa legge è costitutiva della coscienza dell’uomo e le consente di percepire i principi primi dei comportamenti umani cioè le evidenze morali che sono comuni a tutti gli uomini e che formano la legge naturale.

Nessuna città prevale sull'altra. Nella storia, infatti, le due città sono mischiate e mai separate, come se ogni uomo vivesse contemporaneamente nell'una e nell'altra. Sta quindi a quest'ultimo la possibilità di decidere da che parte schierarsi. L'uomo si trova al centro tra queste due città e solo il giudizio universale può separare definitivamente i beati dai peccatori.  gnuno potrà capire a quale città appartiene solo interrogando se stesso.

Fonte: wikipedia

 

UTOPIA
di Tommaso Moro

 

Utopìa (il titolo originale in latino è Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia), è un romanzo di Thomas More (italianizzato Tommaso Moro) pubblicato in latino nel 1516.

Per la scrittura di questo romanzo, in cui è descritto il viaggio immaginario di Raffaele Itlodeo (Raphael Hythlodaeus nell'originale) in una fittizia isola-repubblica, abitata da una società ideale, Tommaso Moro si è particolarmente ispirato all'opera La Repubblica del filosofo greco Platone, anch'essa scritta in forma dialogica. In Utopia, come nell'opera sopracitata, si ha il progetto di una nazione ideale e vengono trattati argomenti come la filosofia, la politica, il comunitarismo, l'economia, l'etica e, più specificatamente, l'etica medica.

Utopia esprime il sogno rinascimentale di una società pacifica dove è la cultura a dominare e a regolare la vita degli uomini.

Il titolo dell'opera è un neologismo coniato da Moro stesso, e presenta un'ambiguità di fondo: "Utopia", infatti, può essere intesa come la latinizzazione dal greco sia di Εὐτοπεία, parola composta dal prefisso greco ευ- che significa bene e τóπος (tópos), che significa luogo, seguito dal suffisso -εία (quindi ottimo luogo), sia di Οὐτοπεία, considerando la U iniziale come la contrazione del greco οὐ (non), e che cioè la parola utopia equivalga a non-luogo, a luogo inesistente o immaginario. Tuttavia, è molto probabile che quest'ambiguità fosse nelle intenzioni di Moro, e che quindi il significato più corretto del neologismo sia la congiunzione delle due accezioni, ovvero "l'ottimo luogo (non è) in alcun luogo", che è divenuto anche il significato moderno della parola utopia. Effettivamente, l'opera narra di un'isola ideale (l'ottimo luogo), pur mettendone in risalto il fatto che esso non possa essere realizzato concretamente (nessun luogo).

A conferma dell'irrealizzabilità di Utopia, Moro utilizza nomi come: Itlodeo (raccontatore di bugie) per il protagonista; Ademo (senza popolo) per il governante di Utopia; Amauroto (città nascosta) per la capitale; Anidro (senz'acqua) per il fiume di Utopia.

Trama generale

Utopia è un'opera suddivisa in due libri. Nella prima parte, Moro presenta l'Inghilterra del XV secolo.Nella seconda parte, invece, avviene la narrazione del viaggio che Raffaele Itlodeo, viaggiatore-filosofo, compie per primo nell'isola di Utopia, una societas perfecta, creata dal suo primo re, Utopo, che con un'opera titanica tagliò l'istmo che la congiungeva con il continente.

Utopia è divisa in 54 città (che rimandano alle 54 contee inglesi), tra le quali la capitale Amauroto. Utopia, a differenza dell'Inghilterra, ha saputo risolvere i suoi contrasti sociali, grazie ad un innovativo sistema di organizzazione politica: la proprietà privata è abolita, i beni sono in comune, il commercio è pressoché inutile, tutto il popolo inoltre è impegnato a lavorare la terra circa sei ore al giorno, fornendo all'isola tutti i beni necessari. Il resto del tempo deve essere dedicato allo studio e al riposo. In questo modo, la comunità di Utopia può sviluppare la propria cultura e vivere in maniera pacifica e tranquilla.

L'isola è governata da un principe che ha il potere di coordinare le varie istituzioni e di rappresentare il suo popolo. Il governo è affidato a magistrati eletti dai rappresentanti di ogni famiglia, mentre vige il principio (rivoluzionario per l'epoca) della libertà di parola e di pensiero e soprattutto della tolleranza religiosa, che tuttavia si esprime solo verso i credenti: gli atei non sono puniti, ma sono circondati dal disprezzo degli abitanti di Utopia e sono loro precluse le cariche pubbliche.

L'isola si basa su una struttura agricola ed è proprio l'agricoltura a fornire i beni utili per industrie, artigianato, ecc. Si produce solo per il consumo e non per il mercato. Oro e argento sono considerati privi di valore e i cittadini non possiedono denaro ma si servono dei magazzini generali secondo le necessità. La città è pianificata in modo tale che tutti gli edifici siano costruiti in egual modo. Esiste la schiavitù per chi commette dei reati. Anche il numero dei figli è stabilito in modo tale che rimanga lo stesso numero di persone. I figli sono accuditi e allevati in sale comuni e sono le stesse madri a occuparsene. Gli utopiani trascorrono il loro tempo libero leggendo classici e occupandosi di musica, astronomia e geometria.

La Politica

Per quanto riguarda la politica, gli utopiani si affidano a un sistema basato sulle città: tutti gli anni un gruppo di 30 famiglie elegge un magistrato chiamato filarca, che in passato veniva chiamato sifogrante. Dieci filarchi con le loro trecento famiglie sono soggetti ad un magistrato che in precedenza, come spiega Itlodeo, veniva chiamato traninboro, ma successivamente è stato nominato protofilarca. Per quanto riguarda le elezioni del magistrato supremo, ogni città viene divisa in quattro zone ed in ogni zona viene scelto un aspirante da portare a consiglio. Tutti i sifogranti (duecento), dopo aver giurato che la loro scelta ricadrà su chi ritengono migliore, scelgono a suffragio segreto tra i candidati elencati dal popolo. La carica di magistrato supremo è valida per tutta la vita, a meno che l'eletto non sia sospettato di aspirare alla tirannia: in tal caso viene deposto. I traninbori vengono nominati ogni anno, ma non vengono cambiati se non vi sono buoni motivi per farlo; essi si riuniscono in consiglio con il magistrato supremo ogni tre giorni o più spesso se lo ritengono necessario.

Ogni cosa che riguarda l'interesse pubblico non può essere confermata o rettificata se non è stata prima discussa per almeno tre giorni all'interno del consiglio; inoltre, è proibito discuterne al di fuori del luogo e del tempo stabiliti per la riunione. Questa regola venne applicata per fare in modo che il magistrato supremo e i traninbori non cospirassero per opprimere il popolo con la tirannide: infatti, le questioni di grande importanza vengono esposte ai sifogranti, i quali sono incaricati di metterne a conoscenza le famiglie e solo dopo essersi consultati con loro esprimono la propria opinione.

I Mestieri

Generalmente ogni cittadino è in grado di dedicarsi all'agricoltura, ma oltre a ciò, ciascuno ha il compito di specializzarsi in un'altra attività che può essere la lavorazione della lana e del lino (solitamente vi si dedicano le donne), muratori, fabbri o falegnami; non vi sono altri mestieri poiché il lavoro deve soddisfare le esigenze dei cittadini, non il lusso. Solitamente i figli imparano il mestiere del padre, ma se qualcuno esprime il desiderio di apprendere un mestiere diverso da quello paterno, può essere accolto da un'altra famiglia in cui si svolge tale impiego.

I sifogranti hanno il compito di verificare che tutti lavorino. Ciò permette ai cittadini di ridurre l'orario lavorativo a sei ore, mentre in tutti gli altri paesi, principalmente in Inghilterra, la maggior parte della popolazione è composta da donne, le quali solitamente non svolgono alcuna mansione, da sacerdoti, da proprietari terrieri con i loro servitori e da accattoni. I pochi che lavorano, invece, svolgono mestieri non necessari poiché là dove tutto si misura in denaro, nascono occupazioni inutili o superflue, al servizio del lusso e della superficialità.

I sifogranti sono esentati per legge dal lavoro, ma per dare il buon esempio non esercitano questo diritto. Lo stesso privilegio lo hanno coloro che abbandonano il lavoro per dedicarsi allo studio in accordo con i sifogranti, i quali, se deludono le loro aspettative, li reintegrano tra i lavoratori. Per questo, rispetto agli abitanti degli altri paesi, non sono solo più organizzati, ma anche più felici.

Rapporti sociali

Ogni famiglia risponde agli ordini del membro più anziano, il quale ha il compito di recarsi al mercato, situato al centro di ogni città, e di prendere il necessario per la propria famiglia. Vestiti, oggetti ed ogni tipologia di genere alimentare sono completamente gratuiti, ma tutti stanno ben attenti a prendere solamente il necessario, poiché non avrebbe alcun senso prendere più di quanto realmente hanno bisogno dal momento in cui possono prendere ciò che vogliono ogni volta che vogliono.

Gli Schiavi

Gli utopiani, a differenza di quanto avviene in paesi come l'Inghilterra, non fanno schiavi i prigionieri di guerra che non siano stati catturati in un conflitto combattuto da loro e non ne comprano dagli altri paesi. Degli schiavi utopiani fanno parte coloro che hanno commesso un reato grave o coloro che, per un motivo analogo, sono stati condannati a morte in un altro paese. Gli schiavi sono adornati da copricapi, bracciali, collane ed orecchini d'oro: questo materiale infatti, apprezzato in altri paesi, a Utopia è sinonimo di indegnità.

Il Matrimonio

Per quanto riguarda i matrimoni, la donna può sposarsi all'età minima di diciotto anni, l'uomo a ventidue. Se un uomo e una donna vengono sorpresi in intimità prima dell'età stabilita, non possono più sposarsi se non vengono prima perdonati dal magistrato supremo: questo perché gli utopiani sono convinti che se non frenassero le libertà sessuali, pochi si unirebbero in matrimonio.

Il matrimonio, a differenza dell'Inghilterra, è un vincolo che dura fino alla morte di uno dei due coniugi e può essere sciolto solamente dal magistrato supremo in caso di adulterio. In questo caso la parte offesa riceve il permesso di risposarsi, mentre l'altra dovrà vivere nell'infamia soggetta a schiavitù. Se una parte offesa continua ad amare il compagno/a, non deve per forza rinunciare al matrimonio purché disposto/a a seguire l'altro nella schiavitù. Solitamente in questi casi è lo stesso magistrato, impietosito, a donare la libertà ad entrambi, ma in caso l'adultero ricommetta questo peccato, la punizione è la morte. Se invece avviene che entrambe le parti commettano un adulterio, è possibile divorziare e ottenere il permesso di risposarsi.

Religione

Ad Utopia sono ammessi vari tipi di religione, ma la maggior parte dei saggi predilige la divinità chiamata Mitra che secondo le leggende ha creato l'intero universo e coincide con la natura. Mitra è un'antica divinità persiana, dio del sole, dell'onestà, dell'amicizia e dei contratti, famoso tra gli gnostici e probabilmente è per questa motivazione che viene nominato da Moro.

I sacerdoti non svolgono solamente il ruolo religioso, ma si occupano anche dell'educazione dei giovani, curando con attenzione l'istruzione letteraria e l'insegnamento delle buone maniere, utili al benessere della repubblica. Vi sono solamente 13 sacerdoti in ogni città; di consuetudine possono farne parte anche le donne, ma solo se vedove o in età avanzata.

Conclusioni

La conclusione dell'opera riprende la critica alla proprietà privata portata avanti da Itlodeo nel primo libro.

Utopia viene descritta come una repubblica ideale, perfetta, e l'unica che può essere chiamata repubblica, poiché mentre negli altri paesi si parla di interessi pubblici, in realtà si curano solamente gli interessi privati, mentre a Utopia, non esistendo la proprietà privata, ognuno pensa al bene comune. La proprietà privata porta come conseguenza l'avidità: dato che negli altri stati il singolo individuo non è tutelato, esso ha la necessità di provvedere all'accumulo del suo capitale per evitare di cadere in disgrazia. A Utopia, essendo tutto in comune, non vi è pericolo che a qualcuno manchi il necessario fintanto che i magazzini comuni saranno ricolmi. Ciò che non funziona negli altri paesi è l'arricchimento di pochi, oziosi, nobili che non fanno altro che circondarsi da fannulloni e non svolgono alcun tipo di mestiere, mentre i poveri lavoratori non hanno alcuna tutela nel caso si ammalino e quando, costretti dalla vecchiaia, hanno bisogno di abbandonare il loro lavoro. L'ingiustizia consiste nel fatto che lo stato premia chi vive nell'ozio e nel lusso, anziché chi lavora per il benessere dello stato o della stessa comunità.

Di uguale importanza è la critica di Moro riguardante le leggi negli altri paesi, giudicate troppo numerose e inutili, tant'è che non permettono ai singoli cittadini di poterle leggere o di comprenderle del tutto. Il benessere dello stato dipende per la maggior parte dai costumi dei magistrati, poiché se incombono corruzione e lusso, essi potrebbero essere facilmente corrotti dal denaro o da altri beni materiali, dunque la giustizia verrebbe meno.

Fonte: wikipedia

 

LA CITTA’ DEL SOLE
di Tommaso Campanella

 

La Città del Sole è un'opera filosofica del frate domenicano calabrese Tommaso Campanella. La prima redazione fu scritta nel 1602 in volgare fiorentino, adottando lo stile dialogico proprio della tradizione esoterica platonica; il testo fu tradotto in lingua latina nel 1613–1614 e pubblicato nella celebre edizione originale del 1623 a Francoforte, col titolo Civitas Solis. Idea reipublicae philosophicae.

L'opera, che richiama per molti aspetti la Repubblica di Platone, è presentata sotto forma di dialogo fra due personaggi: l'Ospitalario, cavaliere dell'ordine di Malta, e il Genovese, nocchiero di Colombo. Lo stesso Genovese racconta di aver scoperto una città con leggi e costumi perfetti nell'isola di Taprobana durante uno dei suoi viaggi in giro per il mondo.

Campanella costruisce la sua opera ispirandosi al concetto di società Tradizionale che si basa sulla libertà e la giustizia nel rispetto dei ruoli che i singoli individui ricoprono in tale ambito. Il valore del singolo, infatti, non è legato a ciò che individualmente rappresenta in questa società, ma alla sua espressione spirituale ed esistenziale in quanto uomo.

Il pensiero di Campanella è in antitesi con la religione e la politica del suo tempo, che hanno subito una caduta ed un degrado, e si pone in contrasto con le istituzioni corrotte, mezzo per perpetuare gli interessi di pochi e non per quelli della comunità.

Campanella è sostenitore del leggero vento di rinnovamento che iniziava a farsi avanti nel Seicento italiano. Come in ogni società Tradizionale, nella città del Sole di Campanella non c'è la separazione tra potere spirituale e temporale poiché questi non si sono ancora scissi, ed è infatti il Re Sacerdote che li incarna ed esprime in un unico uomo, il cui ruolo e corpo appartengono a ogni singolo di quella società che ne è immagine riflessa.

La Città

La città, a forma circolare, è situata su un colle ed è costituita da sette mura che prendono il nome dei sette pianeti. È praticamente inespugnabile, poiché conquistarla significherebbe espugnarla sette volte dato che ogni girone di mura è fortificato. Si può accedere alla città solo attraverso quattro porte situate precisamente in coincidenza con i quattro punti cardinali. Nella parte più alta del colle c'è una pianura molto estesa dove è situato il tempio del Sole, anche questo di forma circolare.

Il potere spirituale e temporale è detenuto da un Principe Sacerdote, anche chiamato Sole (o Metafisico) che di fatto regge la città. Vi sono alcuni punti fondamentali che il governatore è tenuto ad avere come l'erudizione, la conoscenza teorica e pratica, la creatività e la saggezza. Un altro requisito riguarda l'età: il governatore deve avere più di 35 anni in modo che la sua esperienza sia sufficiente per poter condurre lo Stato. Il Principe Sacerdote è assistito da altri tre Principi: Sin, cioè la sapienza che si occupa delle scienze, Pon che si occupa della pace e della guerra, infine Mor, ovvero Amore che si prende cura della procreazione, dell'educazione degli abitanti e del lavoro.

Il tempio del Sole

Il tempio è di forma circolare ed è costituito da grandi colonne sopra le quali sorge una cupola al cui interno figura la sfera celeste, disegnata in maniera molto dettagliata addirittura con i nomi di ogni costellazione e tre versi per ogni stella rappresentata. L'altare "è tondo e in croce spartito" e sopra di esso sono posizionati due mappamondi rappresentanti la sfera celeste il primo e la terra il secondo. Il mappamondo della terra è circondato da sette lampade che stanno a rappresentare i sette pianeti.

I gironi

Le sette mura dividono la città in sei gironi i quali rappresentano ognuno una diversa sfera del sapere e inoltre proprio sulle mura sono raffigurate tutte le sfumature della conoscenza umana.

Nel primo girone si trova una dettagliata cartina geografica dove sono rappresentati tutti i riti, le diverse tradizioni e le lingue di tutti i popoli e sempre in questo girone troviamo anche tutte le conoscenze geometriche e matematiche. Nel secondo sono elencate le principali nozioni di chimica, geologia e la descrizione geografica dei luoghi. Nel terzo vi sono le informazioni che riguardano la flora appartenente al mondo marino e al mondo vegetale, con la descrizione di tutte le erbe e delle loro proprietà curative. Nel quarto girone sono descritte tutte le specie di uccelli, rettili e insetti. Nel quinto si trovano tutti gli animali terrestri, come per esempio i mammiferi. Nel sesto girone, infine, si trovano elencate le arti umane che si occupano di meccanica e sono indicati inoltre gli inventori, le arti, la cultura delle armi e le scienze.

Religione

I "solari" non credono all'inferno o qualunque punizione divina, ma pensano che esista l'anima e che sia immortale. La religione dei cittadini sembra molto somigliare a quella cattolica anche per il fatto che la popolazione crede in un dio e nella maggior parte dei dogmi del cattolicesimo. Nonostante ciò, i "solari" onorano non solo Gesù, ma anche Osiride, Zeus, Mosè e Maometto. Sono presenti anche accenni riguardanti l'astrologia, che il cattolicesimo non avrebbe accettato e sicuramente proibito.

Educazione e modo di vivere

Nell'isola di Taprobana gli abitanti lavorano per sole quattro ore al giorno poiché sono in grado di lavorare sia in modo intellettuale che pratico per tutta la durata delle quattro ore (a tal proposito, Campanella, per spiegare che quattro ore al giorno di lavoro per tutti sono più che sufficienti riporta la situazione della Napoli del seicento in cui, in regime di proprietà privata, su trecentomila abitanti lavoravano solo uno su sei e l'ozio e la povertà devastavano tutti gli uomini). Il tempo restante viene impiegato in attività ricreative, attività ludiche che però devono sempre avere un fine riconducibile al sapere. La stessa educazione dei bambini si basa sull'”imparare giocando”. Infatti i bambini vengono fin da piccoli, all'età di tre anni, separati dalla propria famiglia e cominciano ad essere istruiti da dei maestri, che portano i bambini ad ammirare le mura della città poiché colme di tutto il sapere che un cittadino deve possedere, e valutano in quale attività i bambini siano più interessati e portati. Attraverso le immagini raffigurate nelle mura e i libri che vi sono scolpiti, i bambini acquisiscono ben presto un sapere enciclopedico. La scuola non si svolge al chiuso perché ai ragazzi non deve essere imposta l'istruzione.

Gli abitanti della città del Sole non conoscono gli egoismi, gli orrori della guerra e della fame e le violenze che ci sono nel resto del mondo. La città è organizzata in modo totalmente razionale. Essa viene controllata da un gruppo di persone chiamati "offiziali" che vigilano continuamente in modo che nessuno possa compiere azioni non giuste nei confronti di altri cittadini.

Esiste un'offiziale per ogni virtù: Liberalità, Magnanimità, Castità, Fortezza, Giustizia criminale e civile, Operosità, Verità e così via. Gli offiziali sono eletti da piccoli in base alla virtù alla quale più sono inclini. Le leggi sono incise su tavole di rame e impongono una condotta di vita molto rigorosa. Non esistono le carceri che però sono sostituite da un torrione dove vengono confinati i cittadini che non seguono le leggi nella loro interezza come invece fa il resto della comunità. Come nella Repubblica di Platone, sull'isola non vi è la proprietà privata, infatti i cittadini sono tenuti a condividere la stessa mensa ed a indossare i medesimi vestiti. Inoltre la stessa educazione viene sottoposta ad ogni cittadino ed ognuno di loro ha pari opportunità: i beni privati sono inesistenti perché indurrebbero alla violenza e anche all'egoismo.

I "solari" seguono minuziosamente delle regole dietetiche e i loro pasti sono composti da carne, frutta e minestre a seconda del loro lavoro. Gli offiziali posseggono il cibo più pregiato, ma non raramente decidono di dare il loro cibo a chi, durante la giornata, si è saputo distinguere in gare di armi o di scienze. Durante il giorno i cittadini possono indossare solo indumenti di colore bianco e di notte solo di colore rosso, mentre il nero è vietato.

Conclusioni

Come si vede ne La Città del Sole ogni singolo aspetto della vita è rigidamente regolato, un dato che l'opera di Campanella condivide con quasi tutti gli scritti concernenti società utopiche: un'eccessiva insistenza sull'ordine e la disciplina che quasi annienta le libertà individuali (basti pensare, ne La città del Sole, all'atto della generazione: non solo gli accoppiamenti sono decisi dai funzionari, persino le ore degli incontri sono determinate). Una volontà di controllare tutti gli aspetti della vita umana che agli occhi moderni può far apparire le varie isole utopiche ben poco attraenti.

Sarebbe però un errore decontestualizzare lo scritto del filosofo calabrese, come quelli di Moro o Bacone, per esempio, dal periodo storico nel quale essi vennero alla luce. Queste opere rappresentano il grande fermento culturale, politico e sociale di quegli anni; sono il risultato concreto di una grande aspirazione al cambiamento, al rinnovamento della società dell'epoca. Nel caso specifico di Campanella, non va dimenticato come nel 1599, pochi anni prima della stesura del libro, egli avesse organizzato una congiura che mirava alla liberazione della Calabria dal dominio spagnolo, all'abolizione della proprietà, all'instaurazione di una democrazia di tipo comunistico e teocratico, proprio come esposta nelle pagine de La città del sole. La congiura fu però presto scoperta e il suo artefice evitò la condanna a morte soltanto fingendo la pazzia; sopportando le torture a cui fu sottoposto per smascherare la sua finta follia, riuscì a commutare la condanna nel carcere a vita. Rimase in galera per ventisette anni, nei quali scrisse le sue opere maggiori.

L'opera del filosofo domenicano è quindi una preziosa testimonianza della sua passione e delle sue speranze di fronte ad una realtà presente dal carattere tragico. È un'opera che registra alla perfezione le ambizioni delle menti più pronte d'Europa nel diciassettesimo secolo, di fronte al declino irreversibile del sistema feudale (cancellato dai nuovi processi economici che stavano per dare origine al capitalismo); di fronte alle nuove scoperte geografiche; di fronte al progresso scientifico delle teorie di Copernico e di Galilei.

L'aspetto principale della Città del Sole è sicuramente la comunanza dei beni, infatti i cittadini hanno una mensa comune, vestono gli stessi indumenti, ricevono tutti la stessa educazione e hanno tutti pari opportunità. Come nella Repubblica, nell'opera di Campanella c'è un effettivo rifiuto della proprietà privata e per questo motivo non esistono le divisioni in stirpi, sicuramente anche perché nessun bambino conosce i propri genitori poiché fin da piccoli vengono separati dalla loro famiglia e crescono tutti insieme. La differenza più evidente con il testo di Platone riguarda le unioni, che avvengono tra cittadini con qualità e caratteristiche uguali. Le caratteristiche dell'individuo ne determinano il nome, il quale viene poi arricchito con altri nomi che si riferiscono a quello in cui la persona eccelle. Mentre nell'opera di Platone la società è divisa per classi sociali (artigiani, difensori, governanti), nel libro del filosofo italiano è descritta una società più egualitaria poiché ogni cittadino può essere eletto senza guardare alla classe sociale di appartenenza. I "solari" possono ricorrere alle armi solo per difendersi, come nella Repubblica. Inoltre anche le donne, come scrive anche Platone, devono essere idonee all'attività di guardiane e per questo devono essere addestrate, ma alcune attività spettano solo a loro come per esempio la musica.

Fonte: wikipedia